La morte di Mauro Mita

Quelli che nemmeno capiscono Proudhon!

Con la scomparsa di Mauro Mita abbiamo perso un amico a cui eravamo molto affezionati e di cui sapevamo condiviso questo nostro stesso affetto. Mauro ha sempre partecipato alla vita interna del partito con passione e diremmo anche accanimento. Legatissimo a Pacciardi, lasciò con lui il Pri alla sua espulsione, ma ancora ce lo ricordiamo quando nel 1986 fece al fianco di Randolfo un ingresso trionfale nel consiglio nazionale dopo essere entrambi rientrati nelle fila dell’edera. Da quel momento, se possiamo, la presenza di Mita e la collaborazione alla voce repubblicana si fece ancora più intensa. Presidenzialista convinto Mita presagiva ogni giorno l’implosione politica della vecchia Repubblica e trovava ridicolo che si pensasse di risolverne i problemi modificando la legge elettorale. Se l’accusa era che il sistema parlamentare proporzionale aveva creato “una democrazia acefala”, la tesi di Angelo Panebianco nel 1992, il sistema bipolare maggioritario, senza un’elezione diretta del capo dello Stato sarebbe rimasto altrettanto acefalo. Quasi imbarazzato dal paradosso che un vecchio pacciardiano come lui si fosse incapricciato di tesi sostenute dal mondo socialista, ecco che Mita condivideva sostanzialmente l’analisi giuridica costituzionale di Maurice Duverger, e vedeva nella debolezza sistematica in cui si era conclusa la Quarta Repubblica francese, tutti i ritardi in cui si trascinava la nostra. Mita rifiutava la comune vulgata per la quale in Italia si era passati da una “prima” ad una “seconda” Repubblica, semplicemente, si prolungava l’agonia della stessa. Senza aver mai voglia di dircelo esplicitamente Mita citava Mitterand, ma pensava a Craxi come l’unico leader politico che davvero si era reso conto della questione e che sapeva affrontarla. Visti poi i rapporti politici difficili fra il Pri ed il Psi quando si era negli stessi governi, Mita faceva di tutto per cercare di appianare i contrasti, convinto che una convergenza sull’impianto costituzionale fosse la strategia prioritaria da definire, mentre tutto il resto, fosse questione di bottega. Erano anni che assediava la sede del giornale e dell’ufficio stampa, nel tentativi di convincere tutta Piazza dei Caprettari di interrompere le ostilità con i socialisti per trovae un medesimo terreno d’intesa. Né lo preoccupava la tesi correlata di Duverger, ovvero che il bipolarismo maggioritario conduce al bipartitismo, perché intimamente convinto che un partito socialista non avesse ragione di essere nel futuro, già ci si era allontanati dal marxismo, mentre uno repubblicano sarebbe esistito sempre. Con il suo forte senso dell’umorismo Mauro era sicuro di mettere al momento giusto i socialisti nel sacco: “nemmeno capiscono Proudhon!”, diceva, quando ancora si sedeva sulle scrivanie della redazione del nostro giornale con la sigaretta in bocca.

Roma, 19 gennaio 2015